Una App al giorno leva l’umano di torno
E’ sotto gli occhi di tutti la nuova rivoluzione industriale che sta coinvolgendo sempre più settori produttivi e produzioni creative. L’avvento delle intelligenze artificiali frutto del machine learninig e del deep learning sta invadendo internet e il dibattito pubblico. Anche se pre-esistenti in forma sperimentale all’interno delle più grandi aziende informatiche ora entra nella fase di sperimentazione sull’essere umano. La scelta di pubblicare gratuitamente con Midjournej, Dall-e e Stable Diffusion olte che Chat- GPT è una sperimentazione estesa. In tutti questi casi l’interazione con l’utente medio del web serve a massimizzare le possibilità di raccogliere feedback e quindi amplificare la capacità di imparare dei software. Ma non solo. Si tratta anche di un massivo test di Touring. Mettere, cioè, alla prova della percezione della massa la validità delle realizzazioni dei programmi.
Con l’invasione di campo assistiamo alla controffensiva.
Le macchine si allargano alla produzione intellettuale e gli intellettuali rispondono. La risposta dei creativi è quella di fare gruppo e fondare una specie di sindacato (EGAIR) internazionale che possa difendere i diritti d’autore. Infatti i programmi di AI vengono istruiti tramite terabytes di immagini e testi che sono produzione umana. Il frutto dell’elaborazione AI viene venduto e genera guadagni senza riconoscere agli autori originali nessuna retribuzione. Questo è il punto su cui si gioca la battaglia dei creativi. La pratica, poi, dell’ “optout” è la richiesta di far eliminare le proprie immagini dai database di training delle AI. Ma tale pratica sembra essere praticamente impossibile perchè una volta che la macchina ha imparato dalle nostre opere non le può disimparare selettivamente. Si dovrebbe ricominciare il processo di istruzione da capo ma sarebbe enormemente costoso. Qualcuno ha creduto di poter foraggiare le macchine con materiale prodotto dalla macchine stesse ma questo ha prodotto una specie di sindrome della mucca pazza. Così come una fotocopia di una fotocopia genera immagini di minor qualità così le AI che imparano dalle produzioni di AI accumulano errori che diventano sempre più dequalificanti.
Ma dietro l’opera chi c’è?
La risposta di filosofi e degli umanisti è piuttosto netta. Se dietro ad un prodotto non c’è il fare umano, lo sforzo, lo studio, l’abilità, la sofferenza umana quella non si può considerare un opera ma al massimo una scimmiottatura. Una opera è frutto di carne e sangue, di muscoli e cervello. E’ un distillato della vita e un oggetto non ha vita, esperienze reali, non soffre e non ha necessità fisiche quindi non può essere considerata un opera come quelle prodotte dall’uomo. Ma questa osservazione si scontra con uno scoglio grande quanto un iceberg. E questo scoglio si chiama sempre test di Turing. Noi ci approcciamo ad un opera come utenti finali. La fruiamo in un rapporto diretto, non mediato. Questo rapporto è istintivo, immediato, è un emozione che non può attendere che un esperto ci dica se quell’opera è stata fatta da Tizio, Caio o AI. Dal momento che non riusciamo a distinguere sensibilmente se un prodotto è umano oppure no, non possiamo nemmeno frenare l’istintiva emozione che ci suscita. Sarebbe come dire che prima di poter apprezzare un opera d’arte dovremmo sapere se l’autore è incensurato o se ha commesso omicidi e nefandezze. Non funziona, non ha mai funzionato. Da una certo lato “purtroppo” ma dall’altro “menomale”.
Non bastiamo più.
Circola la tesi secondo cui il principio su cui si basa il test di Turing (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Turing) non si più sufficiente e bisognerebbe trovare un altro modo per capire se le macchine sanno pensare, ma quel test non è una uscita estemporanea , si basa sul platonico principio “l’uomo è la misura di tutte le cose”. Potremmo immaginare un futuro in cui dovremmo girare con un dispositivo che ci indichi se le immagini che vediamo sono di produzione umana o frutto di AI? Dal momento che l’uomo non è più sufficiente a giudicare se si trova di fronte a qualcosa di intelligente oppure no stiamo squalificando l’intelligenza umana. Non è cosa da poco.
La soluzioni necessarie
Il tema della regolamentazione e della gestione del fenomeno è un tema molto caldo e sempre più urgente. Open AI (l’azienda che ha dato i natali a Chat GPT e Dall.e) non è più così open, nel senso che non è più di sola vocazione sperimentale e divulgativa ma è diventata a scopo di lucro. Molte e sempre di più sono le App che promettono accelerazioni prodigiose in campo produttivo e una portabilità mai vista prima. Esempi eclatanti sono i siti come Canva che amplificano i propri servizi aggiungendo l’AI e permettendo di produrre centinaia di contenuti pubblicitari in pochi click. Anche il mondo della traduzione come quella del doppiaggio vedono l’ingresso delle AI che permettono non solo di produrre traduzioni automatizzate ma anche di rigenerare il video clonando la voce dell’attore originale e creando un labbiale corrispondente (vedi https://elevenlabs.io/).
Ma la regolamentazione, per quanto necessaria, non può essere affrettata. Le cose cambiano di giorno in giorno fino a che non si profilano delle caratteristiche stabili del fenomeno si rischia di sbagliare e ricordiamoci che siamo in un regime globale. Se mettessimo regole astringenti nel nostro paese e non negli stati uniti cosa cambierebbe? Con un semplice VPN tutti la userebbero comunque in modo selvaggio. Insomma o tutti o nessuno anche perchè il paese che decidesse di essere il “paradiso delle AI” così come le isole Cayman, attirerebbe i più grossi investimenti.
Veniamo alle proposte
Una possibile via di intervento potrebbe essere una specie di SIAE che copra tutte le produzioni creative non solo la musica. Questa super SIAE dovrebbe imporre, a livello globale, a tutte le aziende che offrono i servizi in Ai di operare una ridistribuzione del guadagno verso tutti quei creativi che risultino essere presenti nei propri database. Ogni oggetto prodotto porterebbe con se un codice univoco che indichi quali autori umani sono stati usati per realizzarlo. Questo genererebbe un profitto in favore di tutti coloro che postassero immagini di ogni tipo on line (luogo di approvvigionamento preferenziale dei dataset) e diverrebbe una specie di reddito universale di base. Questo accadrebbe la dove l’unica fonte di approvvigionamento di immagini e composizioni verbali delle AI fosse il mare magnum del web ma cosa accadrebbe se i programmatori di Midjourney e Chat GPT fornissero i loro software di occhi e orecchie? Cosa accadrebbe, cioè, se un domani le macchine fossero in grado di rifornirsi di immagini e parole direttamente, senza l’apporto dell’umano? Immaginiamo un drone di terra che possa muoversi nelle città e scattare foto e girare filmati e ascoltare i discorsi dei passanti trascrivendoli e facendoli diventare esperienza nel proprio archivio. Di chi sarebbe il copyright di un tramonto o di una cascata?
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