Massimo Motta, all’ombra di Cuore di Tenebra

Eccitanti corpi senza importanza di Massimo Motta

Nell’ambito di Milanophotofestival (XVIII edizione, dal 15 settembre al 31 ottobre 2023) il fotografo memeghino Massimo Motta ha esposto a Milano dapprima una sua installazione di 12 pezzi intitolata Puzzle (alla Libreria Popolare di via Tadino) e, in in questi giorni,  esemplari della serie Frammenti presso la Antonio Miniaci Gallery in Brera).

 

Massimo Motta definisce la sua fotografia “Pattern of media, momento fecondativo nel cammino verso la fusione tra foto e pittura”. Ma dopo? Dopo l’analisi linguistica, lo scontro e, come scrive Carmelo Strano,  ”fotografia e pittura vivono un loro kamasutra”. Cosa rimane? Il corpo è così significativo come molta arte contemporanea ci dice?

Lo smarrimento dell’ ibridazione

Nel caso di Massimo Motta il corpo conta poco. Conta di più lo smarrimento, anche se non si coglie al al primo impatto, a causa delle sue immagini ibridate tra fotografia e segno pittorico. Infatti questa collusione rende incerti i confini fra i due poli. Le cancellazioni sono anche quinte scorrevoli che vengono, rimangono e condannano al regno delle ombre. Ma si coglie una tensione a definirsi, a uscire da questo stato di sia pure voluta incompletezza. Ma agisce il nostro ricordo il quale, anche se disastrosamente riassuntivo, agisce da acceleratore.

Corpi svuotati

Motta nega alle sue alle figure la completezza esistenziale e piuttosto lavora su un continuo svuotamento dei corpi. E coltiva l’informe, un informe invasivo. Le figure che agiscono nelle sue fotografie sembra siano state gettate da una risacca di fronte a noi, per come sono votate a riempire i contorni. Le ombre che pare aspirino a diventare persone si confondono e fondono con i flussi di passeggeri della metropolitana londinese, adatta più di quella di Milano con la sua antipatica cifra razionalistica, alle condizioni magmatiche.

Il quotidiano e la palude dell’indefinitezza

Smilze, le sue figure si aggirano nei luoghi tipici delle frequentazioni delle masse che si spostano ordinatamente nella metropoli. Con evidenza i personaggi sono parzialmente padroni di se stessi e anche le loro aspirazioni godono di una mezza vita solo a tratti affiorante nel quotidiano. La moderna rete di trasporti costruita con l’ambizione di fornire a ogni passeggero un biglietto per aggirarsi fisicamente con scopi talvolta erronei negli itinerari vitali diventa invece un labirinto e un mediocre corridoio.

Da una premeditata rivolta segnica nasce un transito senza evidenza carnale come freddamente previsto dall’autore stesso. Strati di colore vengono elargiti a bassa intensità sentimentale e co. A questo modo, essi, con voluta indifferenza meccanica, ipercompensano le incertezze di figure simili a lemuri spiaggiati.

L’atto fotografico ormai confinato a postproduzione e sentimento congelato, come sottolineato più volte da Motta, si ferma alla soglia della concezione antagonistica mondo notturno/mondo solare. La città che dovrebbe essere il razionale, la negazione dell’informe, consente che dalle fessure questo diventi esperienza quotidiana inevitabile.

La società di massa rende completamente evidente che la palude dell’indefinitezza non è stata scalata e che nemmeno il welfare state (diritti , carriere, posizionamenti sociali) assicurano e vincono lo stato gelatinoso. Come nel romanzo breve “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, i personaggi di Motta sono dei “Kurz” tagliati via irrimediabilmente dalle origini, dalla possibilità di ritorno, attratti ormai dall’informe della nuova esistenza a cui si arrendono.

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