Un incontro a Terracina (nella regione Lazio) sulla letteratura al femminile fra giovani donne amanti della scrittura. Ecco gli ingredienti che, in questa caldissima estate italiana, hanno attirato l’attenzione di chi coltiva la passione per la cultura. Si tratta della prima raccolta di racconti di Viviana Iannizzi (1995) e della scrittura al femminile di Gaia Meliddi che ha curato uno specifico laboratorio creativo. Si è sviluppato un dialogo denso e intimo promosso da Integrativamente, associazione culturale della località ospitante. Tutto questo in un clima naturalistico – il mar Tirreno e il Circeo, promontorio che si allunga verso il mare, legato all’epica, alle figure di Ulisse e della maga Circe e alle storie connesse.
Storie che derivano dai fatti. E se i fatti sono sempre, o quasi, il primo ancoraggio di uno scrittore (che inevitabilmente li trasforma) è la manipolazione linguistica a renderli narrazione. Martin Amis, nel suo saggio “L’attrito del tempo” (Einaudi, 2019) rileva che la lingua è lo strumento per creare l’artificio. La vita è una cosa, ma un’altra sono le storie derivanti dalla visione immaginifica che l’autore imprime alla realtà e sono l’artificio.
Viviana Iannizzi usa la realtà, maneggiandola abilmente. La forma che sceglie per la sua opera prima è quella del racconto. “Dialoghi incompresi”, edito da Innuendo – piccola casa editrice di Massimo Lerose, fondatore della scuola di teatro Skenè – ne raccoglie otto. L’elemento che lega le storie della Iannizzi è l’incomprensione, quella di origine pirandelliana. Da “Uno, nessuno, centomila” è mutuata la sensazione di perdita dell’identità a causa di un difetto di comunicazione. L’incomunicabilità mista a scarso ascolto si traduce in incomprensione. Così, l’assenza di partecipazione alle altrui sventure provoca distanza fisica e sentimentale.
I racconti si snodano attraverso dati autobiografici, come la stessa Iannizzi ammette senza remore. È così che lo scrittore lavora: ascolta, prende appunti, rielabora e scrive. Gli eventi della vita sono le prove a cui molti sono soggetti. L’espediente letterario li trasforma in qualcos’altro, liberamente. La forma del racconto è quella che permette all’autore di andare dritto al messaggio, in poche pagine. Breve e concentrato, il racconto deve consentire al lettore di comprendere tutti gli elementi che lo compongono. Deve spiegare chi, cosa, dove e quando nell’arco di pochi caratteri. Deve fondere sintesi e chiarezza. E l’inserimento di fatti inattesi tende a spiazzare il lettore che interessato al lieto fine. Come in un film. Negli otto racconti il lieto fine non c’è.
Non è per caso che Viviana Iannizzi abbracci la regia e la sceneggiatura. Più di uno dei racconti contenuti in “Dialoghi Interrotti” potrebbe essere il canovaccio di una storia per piccolo o grande schermo. A questo proposito segnalerei “Dialogo senza risposta” e “Dialogo di un’ultima volta”. In ogni racconto i protagonisti sono tre: due personaggi che hanno taciuto qualcosa (l’incomprensione o la paura di essere compresi?) e l’amore che sembra il terzo incomodo, che crea disarmonia, disgregando – in assenza di parole chiare e dette – anziché unire. E così rompe anziché aggiustare. Ferisce invece di curare. I personaggi delineati, da Monsieur Bertrand a Meredith, sono soli, liberi, pieni di cicatrici che il tempo non guarirà.
Con “Soliloquio”, che chiude “Dialoghi incompresi”, Viviana Iannizzi spiega molto di sé e conduce per mano il lettore nella comprensione del filo che lega tutte le storie: siamo esseri fragili, impauriti anzitutto di noi stessi. Le aspettative che altri hanno su di noi ci avvolgono, ci costringono come un abito troppo stretto, come un corsetto che ci toglie il respiro. Ed è proprio del respiro, un ampio respiro, che abbiamo urgente bisogno, per poter guardare oltre. Oltre noi stessi e le nostre ferite non rimarginate, le nostre imperfezioni. Oltre a quello che sfugge a noi stessi e che gli altri non vedono. O forse non sono interessati a vedere.
“Dialoghi incompresi” di Viviana Iannizzi, Innuendo Editore, 110 pagine, 10 euro.
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