Il Consiglio europeo del 29 e 30 giugno si è concluso con un nulla di fatto sul problema della gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo.
Polonia e Ungheria sono restate ferme sulle loro posizioni: nessun ricollocamento e nessuna compensazione economica alla Ue in caso di mancato ricollocamento. La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni si è impegnata, con i rappresentanti dei due Paesi, in un negoziato finalizzato a impostare il sistema di asilo europeo su una politica di ampio respiro che riesca a bloccare – o almeno a ridurre – i flussi migratori illegali a monte, con un partenariato strategico in cui l’Unione giochi un ruolo da protagonista.
Gli accordi con i Paesi terzi, la via dell’Ue
Tale prospettiva non sembra fare registrare molti consensi. A parte qualche eccezione, infatti, in passato i Paesi dell’Unione hanno poco praticato la via degli accordi con Paesi terzi. Probabilmente per la difficoltà di tale politica, i suoi costi economici o gli scarsi risultati, la via delle trattative con i Paesi di transito o di origine dei migranti. non sembra condivisa
Penalizzati i diritti dei migranti
Si è preferito accentuare il tema delle “difesa delle frontiere” dell’Unione, mostrando scarsa – o inesistente – attenzione rispetto ai diritti dei migranti. La questione morale di fronte ai naufragi, agli annegamenti di massa e ai frequenti abusi nei centri di detenzione, sembra non svolgere alcun ruolo nelle trattative. Tanto che non si è neanche discusso del problema delle responsabilità di ciascuna nazione riguardo al soccorso in mare, lasciando ai Paesi rivieraschi oneri e incombenze.
I diritti umani e i “Paesi sicuri”
Le organizzazioni che si occupano dei diritti umani da parte loro attaccano la politica dell’Unione sul versante dei respingimenti in Paesi terzi ritenuti sicuri, in cambio del versamento di una somma di denaro. Il diritto d‘asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra in questo modo verrebbe sostituito da una trattativa economica bilaterale fra i Paesi di primo ingresso e Paesi terzi.
Una buona parte dei migranti si dirige verso Paesi europei in cui possono contare su comunità di connazionali che vi risiedono già. La scelta dei “Paesi sicuri” si rivelerebbe, invece, come una forma di deportazione obbligatoria del migrante indipendentemente dai suoi propositi di piena integrazione. Da tutto ciò si può dedurre che occorreranno altri sforzi dei governi per affrontare il problema.