“La locandiera”, ieri e oggi
Quando Carlo Goldoni scriveva La locandiera era il 1752. Introduceva il lettore al suo testo con queste parole: “Fra tutte le commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva”.
Mirandolina, la locandiera, è solo a prima vista una donna che, senza adoperarsi troppo, ruba il cuore a tutti gli uomini che si aggirano per la sua locanda. È la sua avvenenza naturale che li attira e li porta ad offrirle doni preziosi. E la testa gira al Marchese di Forlipopoli, al Conte d’Albafiorita e persino a Fabrizio, il suo devoto servitore, che nulla ha da donarle se non il suo sincero amore.
Il Cavaliere senza cuore
Solo il Cavaliere di Ripafratta, uomo che disprezza il genere femminile e gli uomini che si sciolgono come neve al sole di fronte alle crinoline, sembra refrattario alla bellezza di Mirandolina.
Questo esemplare d’uomo insensibile alla beltà apre al gioco di ruolo a parti invertite. Mirandolina è abile con le parole, con le lusinghe composte e gli apprezzamenti che generano curiosità e desideri opposti a ciò che esse dicono.
La giovane locandiera saprà ben manovrare il Cavaliere, finendo per lasciarlo a mani vuote, ma aprendo il suo cuore. Il suo obiettivo è portare in alto il sentimento, abbattendo i muri di odio e disprezzo.
Corrado d’Elia, la sua locandiera
Corrado d’Elia compie un significativo lavoro di ammodernamento del lavoro goldoniano, a partire dalla musica: dimentichiamo i suoni barocchi e tuffiamoci negli anni ’80. È infatti con Lio e la sua “Amoureux solitaires” che si apre il sipario su La locandiera, colorata e mossa dalla regia di d’Elia che alterna luce e buio nella fase di avvio della commedia. Un gioco di luci che funziona sia nella commedia che Z nel dramma (vedi “Mercurio“). Il pubblico non vede, ma gli attori in assenza di luci devono muoversi precisi e sicuri e prendere le proprie posizioni: niente affatto semplice anche per gli addetti ai lavori.
La scena è un tripudio di colori, assieme ai costumi, lontanissimi dalle larghe gonne, tiratissimi corsetti, marsine tradizionali e preziosi broccati. La versione di d’Elia è pop estremo: tessuti plastificati e colori flu, parrucche bionde, vistosi gioielli di plastica, grandi occhiali e calzature degne di carnevale. È anche questa la forza di questa alternativa alla messinscena abituale: rompere tutta la linea rappresentativa realizzando una Locandiera autenticamente goldoniana.
Il cast
Il cast regge con precisione i ritmi comici della commedia e ci restituisce con allegria e leggerezza la storia di Mirandolina, bene interpretata da Chiara Salvucci. L’attrice è una locandiera trasgressiva solo nell’estetica, giovane e bella, che merita la piccola modifica al testo di Goldoni nella messa in scena di d’Elia (atto primo, scena quindicesima, Mirandolina dice di non essere una ragazza, di avere qualche annetto e di non essere bella).
Un team di attori ben affiatato, ciascuno dei quali non sconfina nel territorio altrui. Se il Marchese di Forlipopoli è l’eccellente Gianni Quillico, nulla di meno dobbiamo dire del Conte d’Albafiorita (Daniele Ornatelli), del devoto cameriere Fabrizio (Marco Brambilla). Così come delle esilaranti Ortensia (Tino Danesi) e Dejanira (Andrea Tibaldi), le due commedianti, che D’Elia vuole siano uomini travestiti.
Il Cavaliere sdilinquito è un inedito Corrado d’Elia che, firmando anche la regia, ci conferma le sue ampie e versatili capacità.
LA LOCANDIERA, fino al 19 febbraio, MTM Teatro Leonardo
di Carlo Goldoni
regia di Corrado d’Elia
con Marco Brambilla, Tino Danesi, Corrado d’Elia, Daniele Ornatelli, Gianni Quillico, Chiara Salvucci, Andrea Tibaldi; costumi Stefania Di Martino realizzati da La Nuova Sartoria e Melina Mannino Sartoria; tecnico audio Matteo Gobbi; tecnico luci Marco Meola; foto di scena Paolo Carlini; produzione Compagnia Corrado d’Elia; organizzazione Afra de Santi.