Lo snob, ieri e oggi
Discernere tra ciò che è e ciò che sembra non è così irrilevante. Forse ha a che fare con la capacità di giudizio, con l’esercizio di un certo senso critico. Forse ha a che fare con la saggezza, o magari con l’ignoranza.
Ed è anche di ignoranza, la più nera, ma travestita da saccenza, che Gaetano Cappelli scrive nel suo ultimo saggio Lo snob nella società dello snobismo di massa, uscito per OLIGO Editore lo scorso giugno.
Il divertente e irriverente libello di Cappelli apre il sipario su ciò che tutti, prima o poi, incontreremo: il fastidioso personaggio con l’unica qualità di essere riconoscibile. Inizia con un excursus storico sull’origine della parola snob e informa il lettore sul padre dello snobismo, William Makepeace Thackeray. Cappelli fuga inoltre ogni dubbio su certi errati significati dati all’etimo. Nessun latinismo, anche se ci piacerebbe credere che sine nobilitate ne sia la radice. Non è così. Nella terra della Regina Vittoria erano detti snob i “cittadini di basso ceto”. Uno slang per i veri poveretti, per nulla inclini a sembrare altro da ciò che erano. Niente a che vedere con il significato attuale della parola che riporta all’altezzosità di coloro che, di solito, ostentano frugalità. Vestono sciattamente abiti di grande fattura e, spesso, mancano del suono rotacistico della erre. E non solo questo.
Ma la questione non è semplice come sembra. Così Cappelli ci introduce nel variegato e multiforme universo degli snob, inerpicandosi nel terreno dei distinguo. Infatti la categoria degli snob non è omogenea, dovendo evidenziare almeno almeno tre tipologie.
Poiché siamo in estate, potremmo pensare al cafone dell’ombrellone di fianco: voce alta, telefonino sempre in mano, abiti da mare griffati, ingioiellato come la Madonna dell’Assunta, trucco violento e volgare se donna. E d’inverno cappotto con collo in pelliccia, occhiali neri anche di notte, macchinone rombante di quelli che l’esercito americano utilizza per il guado di fiumi. E pensare che devono solo attraversare le strette strade di montagna magari per fare lo struscio pomeridiano. Magari per un apericena con ostriche a volontà e profluvio di champagne. Ed è proprio sullo champagne che Gaetano Cappelli fornisce una serie di testimonianze gustose, da amante dell’ottimo bere.
Nonostante quanto sopra, lo snob è anche altro. Il patrizio decaduto o ancora in auge, o per nulla patrizio ma di buona nascita, oppure influente per frequentazione di selezionati ambienti. Sempre amante del bello (forse finto bello) e del semplice (forse finto semplice) e dotato di grandi possibilità eonomiche. Meno vistoso a Milano che non a Roma.
Senza insistere su tutte le angolazioni offerte dal libello sui contorni dello snob, si aggiunge un’ultima annotazione. Si raccomanda di non perdere il significativo sondaggio eseguito da Cappelli narratore tra i suoi followers sui social media e di cui l’autore riporta i commenti. Vale la pena leggerli, questi commenti, perché ricchi di una realtà diversa da ciò che immagineremmo. O magari una finzione.
Gaetano Cappelli, Lo snob nella società dello snobismo di massa. OLIGO Editore, pagg. 96.
Leggi anche: Corrado d’Elia, i mostri che sono in noi