Creare ambientazioni con la natura
Fusione “arte-natura”
La creazione contemporanea ricerca, talvolta, il colloquio e la fusione con la natura nelle sue espressioni e nei suoi sconfinamenti. Ne diviene apparenza e rapporto di scultura, pittura, architettura, ambientazione, musica-rumore. Questa espressione è ricercata dal creativo di oggi attraverso il proprio sentire e il movimento del passaggio: come quello fra Occidente o Oriente. Passaggio significa attraversare elementi, concetti, culture.
Nota lo storico dell’arte Gillo Dorfles «C’erano già, non dimentichiamolo, i giardini di sabbia Zen, i giardini di muschio e gli stessi Ikebana dei giapponesi, che facevano di queste attività “naturali” una forma d’arte a sé stante».
La costruzione con la natura attraversa manualità e riflessioni dell’essere. Questa può ricercare, come la medicina olistica, una propria totalità di sentire (corpo-mente-anima), volendo edificare archetipiche ambientazioni che ascoltano le motivazioni interiori. Il suo pensiero diviene coscienza naturale, coniugando il vivere con il gioco e i linguaggi della creazione.
Artisti della terra
I rapporti fra l’arte e la natura sono presenti in diverse poetiche novecentesche, come nella Land Art. Continuano però a relazionarsi in espressioni del nuovo secolo. L’artista della terra “delimita” uno spazio, fino allora astratto, attraverso i suoi di-segni mentali, interiori, giocosi, rituali, ecc., inserendo la propria “idea-presenza” che si rapporta con la dispersione della natura.
Scrive Richard Long, artista inglese della Land Art: «La mia arte è il ritratto del mio essere nel mondo. (…) Io posso fare una scultura di pietre in un fiume, le pietre rimangono nel fiume, esistevano prima del mio intervento ed esisteranno dopo; la scultura può così risultare invisibile agli occhi del passante. Con la fotografia si potranno vedere le pietre come sculture».
I richiami dell’anima-natura possono rivelare una mappa interiore del nostro vivere e sentire. Riformulano una lingua di relazione con il mondo, in cui l’arcaico e il contemporaneo dialogano nel pensiero e nei rituali della creazione.
Natura e spiritualità
L’artista può “recuperare”, attraverso la natura, la gioia di “vivere” opere d’arte anche effimere, senza preoccuparsi cioè della loro durata. Queste opere si “concepiscono” con materiali naturali, che possono essere la sabbia e le pietre, le conchiglie, ecc. Talvolta coesistono con materiali della quotidianità: il legno, il ferro, la carta, la stoffa, ecc. La terra, il cielo, il mare diventano la segnaletica estrema per un oltre.
L’americana Michele Oka Doner “racchiude”, nelle sue sculture, la magia e il pensiero di un’ecologia trascendente che assorbe i fenomeni della natura. Il richiamo di una spiritualità diffusa convive con l’informazione scientifica, ridefinendo così una mappa interiore del vivere e del sentire: «giocavo sotto un immenso cielo blu, con tutto ciò che trovavo sulla spiaggia […] le mie fonti sono quelle che ispiravano i primi uomini: le stelle in cielo, le conchiglie sulle spiagge e le grandi forze della natura».
I percorsi di creazione naturale “segnano” un’attuale emergenza dell’arte che si sta segnalando, negli ultimi tempi in maniera sempre più diffusa anche se sotterranea. Questa coinvolge, artisti italiani e soprattutto stranieri.
Architetture di sabbia e sassi
Metafore d’esistenza
Le architetture di sabbia e sassi “costruiscono” metafore dell’esistenza. Le loro apparenze elaborano espressioni attraverso l’immaginazione e l’analisi interiore dell’autore.
La sabbia non è disgiunta dal sasso. I sassi e la sabbia hanno una “anima” come memoria: costituiscono un work in progress millenario, senza tempo, al di fuori di ogni delimitazione. Gli effetti di questi materiali sugli uomini sono utilizzati per curare, evocare, proteggere, stimolare: come è descritto in tradizioni, rituali, leggende e miti.
Le singole pietre o i granelli di sabbia, sottraendosi dal caos della dispersione naturale, diventano, nelle mani del creativo, moduli di composizione per rituali costruzioni di pensiero, gioco, piacere manuale.
Il gesto creativo le spoglia della forma e del contesto originali per “ricomporli” in segnaletiche personali, ricercanti significati collettivi e ancestrali, che si scompongono alle imprevedibili reazioni esterne: come può esserlo il soffio del vento.
Opere effimere
Le architetture della sabbia e delle pietre possono essere anche ambientazioni dell’esistenza e della coscienza naturale. L’approccio è, talvolta, come scrive il critico d’arte Giuseppe Salerno, «un incontro d’amore nel quale materia, colore e forma pervadono totalmente il pensiero sin tanto ché, soggetto ed oggetto assurgono a unità inscindibile».
Questo incontro è presente nelle Architetture di sabbia, le “opere effimere” dell’artista sarda Lughia, che sono affiorate nella Grotta del Sogno, a Ventotene, o nel Borgo di Calcata: due scenari di particolare suggestione, in cui l’essere “riqualifica” le qualità del proprio co-esistere.
Nel buio della notte o di un ambiente queste costruzioni ricercano una naturale collocazione vibrazionale. Le ambientazioni di sabbia e sassi ricercano talvolta l’evocazione del sogno: da evocare magari con l’incenso e la luce povera delle candele.
Costruzioni di natura come gioco e conoscenza del sé
L’elemento del gioco
Le città sono costruite soprattutto per l’essere adulto, che organizza e indirizza la vita comunitaria, rendendo talvolta marginale il mondo del bambino, a cui è concessa l’attività del gioco. Questa è attività libera, senza scopo, da svolgere in libertà attraverso l’estrinsecazione di pulsioni e fantasie.
L’elemento infantile e del gioco appartiene alle dimensioni dell’artista di qualunque età: la “parte bambina” deve sempre dialogare dentro di noi con quella adulta, facendosi ascoltare. Tante costruzioni d’arte sono sorte, naturalmente, sulla pianta di un sogno o di una visione!
Il gioco creativo richiede, talvolta, che la mente sia “destabilizzata” per favorire l’invenzione. La creatività infantile è, infatti, generosa di imprevedibili espressioni. Non a caso i bambini amano edificare le proprie costruzioni di sabbia sulla riva del mare, disinteressandosi delle onde o dei passanti che potrebbero cancellarne l’esistenza. I bambini sono i privilegiati soggetti agenti e d’indagine terapeutica, appunto, nella sand-therapy.
Pratiche rituali
Il rapporto costruzione-natura stimola la lettura della propria personalità e della conoscenza del sé. Chi usa la sabbia o il sasso ricerca “chiavi interne”: come ha fatto lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung. Questi cominciò a raccogliere e collezionare pietre, facendo diventare lo “svago” sempre più coinvolgente, incomprensibile a lui stesso.
Successivamente, quando avvertiva di sentirsi “non armonico”, iniziava a dipingere o a scolpire la pietra come se fosse una pratica rituale. Questi pensieri e gesti stavano costituendo un gioco-diario di attraversamento dei fantasmi, propri e collettivi: esprimendoli, si domandava cosa stesse facendo.
Una voce interiore gli rispondeva che era “arte”, a cui faceva seguito una discussione sulla veridicità della voce. Il procedimento stesso diventò, per diverso tempo, una specie di rielaborazione estetica e psichica. Rinunciò alla carriera universitaria per consacrarsi allo studio della sua “persona interiore”.
Jung, successivamente, si cimenterà con una più impegnativa possibilità di composizione, quella della propria casa, sulle rive del lago di Zurigo: un grandioso gioco di costruzione, in cui ogni nuova parte rappresentava, per lui, un ulteriore passo di avanzamento psichico, oltre che di un utile approfondimento terapeutico: «La torre mi dava l’impressione di rinascere nella pietra» (C. J. Jung).
NOTA
Il testo è legato all’intervento di Vitaldo Conte sulla “Sostenibilità della terra: creatività e gioco come metodologia” al convegno “Sulle Ali della Sostennibilità (Ugento, Lecce, 22 aprile 2022)..