No, non quello (Strano) Carmelo, che generosamente e imprevidentemente mi ha offerto di tenere una rubrica su Fyinpaper con lo stesso nome e lo stesso spirito del mio blog (Fuori dai denti 2010 -2021): un altro Carmelo (Bene), scomparso all’inizio del secolo lasciando un tesoretto per me. Il testo che segue (1979, estratto da Contro il cinema): cade a fagiuolo (che bella la lingua italiana con queste altisonanti vocali!) per introdurre la stessa. Voilà:
C’è l’esigenza d’una nuova critica. Nel mondo, non solamente in Italia. E’ necessario stabilire una qualsivoglia propedeutica, arrivare a un discorso più ampio attraverso un facsimile, una cartina di tornasole. Partire da un’opera, per esempio la mia, ma meglio quella di altri, almeno qualcuna, almeno una di cui valga la pena parlare. Spesso io mi sono rifiutato con persone che non avevano opere da farmi vedere perché il discorso fantapolitico lo rifiuto. Per me chi scrive una riga e la firma è un critico. Giudicare non vuol dire conoscere, ma conoscere vuol dire giudicare. Oggi c’è una critica per cui ignorare vuol dire giudicare. Rivalutiamo il termine, l’ha già fatto Kant tre secoli fa e non capisco perché oggi non siano ancora superati questi scogli da triglia. Siamo di fronte a una situazione a cui bisogna porre un argine, che bisogna sbloccare, liquidare. E per far questo bisogna liquidare le 99 pecorelle e tenerne una sola. Di un’opera è il momento di dire che è un capolavoro o che è una porcheria. Che poi uno usi la critica non come fruizione ma come reinvenzione, questo lo hanno già fatto Mallarmé, Baudelaire, Gauthier, Gide.
Dice Epitteto che “la grammatica e la sintassi ci insegnano a mettere in ordine le parole, ma che da qui io sia costretto a scrivere all’amico, il passo non è breve. Bisogna aver scelto per non essere scelti. Uno può manifestarsi parlando, filmando, (facendo scultura, installazioni, architettura), bevendo, sputando ecc. Tutti questi atteggiamenti io li chiamo autocritici, anche se riferiti a opere di altri. Ma a questo punto l’opera di altri non esiste più, esiste un’opera mia, perché mia è la scelta di parlarne. Nel momento che cito quello che cito, è mio. E non perché sacrifichi me stesso. Io sono senza frustrazioni. Voglio, quindi sono. “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Schopenauer). Il giorno che ognuno finirà di scaricare la propria vigliaccheria sui falsi problemi, sarò il santo di queste battaglie, nel mio secolo almeno. Perché finora mi pare di essere il solo, almeno perché ho buona memoria e so citare. Non so come andrà a finire, ma questo non mi turba: nostro è l’intento, l’esito no. Ho una politica: realizzare quello che voglio, anche se è la mia rovina. Ma a parte questo comunque, un critico o una puttana, chiunque può allearsi a me, perché alleandosi realizza quello che vuole per sé (Max Stirner).
Continuerò questa rubrica trattandola come una postazione avanzata dotata di mitragliatrice. Per gioco, guai a smettere di divertirsi: per driblare la malfidenza nei confronti del mio linguaggio critico spesso osé, ma non alla maniera gazzettiera, che farebbe indignare ambedue i Carmelo: per l’urgenza della ricerca di un’opera paradigmatica. Sic!