Il mezzo fallimento del summit della Coop 26 di Glasgow sull’ambiente dovrebbe aprire gli occhi ai politici che hanno il compito di preparare il futuro e a tutti coloro che non accettano l’ineluttabilità delle scelte sbagliate. Ci vorrebbe un’enciclopedia solamente per elencare i problemi che vanno affrontati.
Uno sforzo comune per l’ambiente
La madre di tutti i problemi è l’idea che ci voglia uno “sforzo comune” per preparare un sistema planetario di energie rinnovabili. Secondo questa idea grandi e piccoli Paesi, che vivono in competizione fra loro e che spendono cifre incalcolabili per armamenti offensivi, di fronte all’emergenza climatica dovrebbero “fare pace” e collaborare. Difficile pensarlo. Difficile perché per affrontare un problema planetario occorrerebbe un’etica planetaria che prescriva il rispetto dell’ambiente, e siamo lontani anni luce da essa.
Il Darwinismo ambientale
Ma l’assurdità maggiore è un’altra. I grandi inquinatori sono in buona parte Paesi emergenti che si sono trovati in un mondo già avvelenato dai Paesi industrializzati. A essi si chiede di rallentare pesantemente la loro crescita per sanare danni fatti in buona parte proprio da chi avanza tale richiesta. Soprattutto se si considera che in passato sono stati gli “avvelenatori” a esportare nel terzo mondo micidiali sistemi di inquinamento, per realizzare in casa propria livelli di benessere sempre maggiori. Vedi modelli Cina e India. Come dire: il nostro modello di sviluppo va bene per noi, ma voi ne siete al massimo uno degli strumenti. Insomma una specie di darwinismo ambientale. Siete arrivati tardi ? Peggio per voi. La gara l’abbiamo vinta noi e abbiamo il diritto di godere dei benefici della nostra vittoria. Fermatevi o vi fermiamo noi con le buone o con le cattive.
Certamente esiste anche una forma di “pentimento”. Ma il pentimento è una categoria religiosa che non funziona molto nelle relazioni politiche e economiche. Un elementare criterio di giustizia richiederebbe che chi ha inquinato paghi in proporzione al danno provocato. Ma di questo non se ne parla neanche. A parte qualche promessa di risarcimento economico, i Paesi sviluppati si concentrano su una ipotetica “pulizia” interna che richiede stanziamenti di risorse inimmaginabili. Si progettano centrali atomiche “pulite” e si compete per avere quote sempre maggiori di gas allo scopo di evitare il ricorso, e talvolta il ritorno, al carbone.
Intanto negli USA
Nel frattempo la CNN ci informa su uno studio dell’Ufficio forestale degli Stati Uniti (vedi: https://edition.cnn.com/2019/07/20/health/iyw-cities-losing-36-million-trees-how-to-help-trnd/index.html) secondo cui le città americane solo negli ultimi cinque anni hanno perso circa 36 milioni di alberi l’anno. In altre parole i Paesi sviluppati eliminano gli alberi per realizzare campi da golf, resort e centri benessere, e chiedono a cinesi, indiani, brasiliani e russi di proteggere le loro foreste. Qualcosa non va.
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