Conosciamo poco della vita quotidiana della ex DDR. Così come riceviamo pochi film che andrebbero a implementare una dimestichezza maggiore con la realtà dei vari Paesi europei. La distribuzione è scarsa, e le scelte sono spesso determinate da quello che si crede piaccia al proprio pubblico. È perciò raro che la distribuzione osi oltre format di storie che corroborino questo presunto gusto. Non resta che cercare di reperire le rassegne. Una di queste è “Sala Europa”, rassegna di un anno che termina il 4 aprile, promosso a Roma dalla Casa del Cinema, Institut Français Italia Centre Saint-Louis, Goethe-Institut e Instituto Cervantes.
“Gundermann”, il film di Andreas Dresen presentato al Goethe Institut
É al Goethe Institut che di recente è stato presentato il film “Gundermann”, del 2018, diretto da Andreas Dresen e sceneggiato da Laila Stieler. I due lavorano insieme da oltre vent’anni, come nel film “Settimo cielo” del 2008, che uscì questo sì in Italia (una storia d’amore extra-coniugale in una coppia anziana) e, come l’ultimo, presentato alla Berlinale di quest’anno, “Rabiye Kurnaz vs. George W. Bush”, la storia vera di Murat Kurnaz, imprigionato ingiustamente a Guantanamo, con l’attore Alexander Scheer, protagonista del precedente “Gundermann”, e Melten Kaptan, vincitrice come migliore attrice con l’Orso d’Argento alla Berlinale.
“Gundermann”, il film è tratto da una storia vera
Anche qui Dresen narra una storia vera in chiave di lieve commedia, dove cioè si sorride più che ridere. Interessante è apprendere che si tratta di una storia vera solo dai titoli di coda (a meno che non si fosse letta la trama in precedenza). Non saperlo rende più liberi dal comparare storia e finzione e non arreca alcuna mancanza di comprensione, anzi, trasforma il film in un curioso salto temporale dove molto è implicito e poco è esplicito.
“Gundermann”, la trama
È Gerhard Gundermann (1955-1998), soprannominato Gundi, che tiene il filo di un ritratto della DDR lontano da quello drammatico de “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmarck del 2006 premiato con l’Oscar. Gundi non è un eroe e pertanto non è dilaniato da alcun conflitto interiore. Comunista marxista duro e puro (e per questo lo si vorrà allontanare dal partito, più avvezzo alla propaganda che al realizzare il socialismo in terra). Operaio in una miniera di lignite in una cittadina a pochi chilometri da Dresda, nell’est industriale crollato dopo la caduta del muro, è finanche cantante country, pop e folk di relativo successo. Un personaggio improbabile che invece diventa probabilissimo visto che, grazie alla sua adesione alla Stasi, potrà portare la sua band ad ovest, e persino suonare ad un concerto di Bob Dylan.
Più tenace che romantico, ha ambizioni a portata di mano che si concretizzano nel matrimonio con la ex compagna di scuola che sfila ad un amico, un discreto successo musicale e il lavoro in miniera, al quale non vorrà mai rinunciare per non perdere il radicamento ad un socialismo, appunto, reale.
La sua integerrima fede politica fa sì che sarà scomodo anche nella polizia segreta, incapace com’è di mentire sugli ideali comunisti per precettare i fuoriusciti ad ovest durante i suoi concerti. Quando, dopo la caduta del muro, si aprono gli archivi della Stasi, e molti tedeschi vengono a sapere di essere stati spiati da amici, parenti e congiunti, a loro volta spiati in una reciproca beckettiana, Gundermann scopre di far parte sia delle vittime (gli spiati), sia dei colpevoli (gli spioni). Decide di fare outing e ciò che ne segue è in linea con il film: nessuna conseguenza drastica, nessun melodramma, tutto è mediato dalla sua apparente buona fede.
La vita quotidiana nella DDR
Una questione dolente in Germania. Basta rispondere che si obbediva agli ordini? Sarà un impiegato degli archivi a rispondergli impietosamente: non è una questione di principio, ma di carattere, e Gundi aveva evidentemente il carattere della spia. Quando cerca di difendersi – come è effettivamente avvenuto in molti casi – adducendo a giustificazione che i suoi rapporti non hanno danneggiato nessuno, di non aver quindi mietuto vittime, gli verrà risposto: “sì, ma tu questo non lo sapevi”.
Nessuna tortura, nessuna fuga rocambolesca oltre il muro, nessuna defenestrazione dalla società: “Gundermann” mostra la faccia più discreta e quotidiana della DDR, vista dalla parte di uno (dei molti) che ci credette davvero. Un montaggio superbo pone in parallelo, intrecciandoli perfettamente, gli esordi della sua vita e la fase successiva, dando un tono surreale che esprime la staticità di una società sospesa in un tempo cristallizzato. Una vera sorpresa sono le canzoni: cantautore di tutto rispetto, Gundermann sfata l’impossibile, e cioè che si possano fare canzoni d’autore in tedesco orecchiabili e poetiche.
Si spera che anche le piattaforme online comincino a farci conoscere registi validi a prescindere dai premi vinti. Si dice che il cinema morirà. Che s’intendano le sale o il fare cinema, nel primo caso ci si rifornirà di proiettore casalingo, nel secondo conviene tenerci stretti coloro che, oltre a farlo, lo fanno bene.