I lauti profitti della globalizzazione
L’allarme relativo agli incredibili aumenti del prezzo del gas dovrebbero spingerci a fare alcune riflessioni sull’evoluzione del sistema economico planetario negli ultimi cinquanta anni. La cosiddetta globalizzazione ha fatto in modo che i generi di consumo più diversi possano essere prodotti in un qualunque punto del globo, cioè dove è più conveniente produrre per il basso costo del lavoro o altro. Sappiamo bene che la Cina è stata, ed è ancora insieme all’India, un serbatoio senza fine di materie prime e di lavoratori a costi bassissimi. È quindi evidente che gli investitori occidentali, superati gli ostacoli politici che ci separavano dai Paesi asiatici e ridotti i costi di trasporto delle merci, hanno imboccato questa autostrada dai lauti profitti. Tutto come si era già fatto con il Giappone e le cosiddette “tigri asiatiche”.
Se i Paesi produttori chiedono di più
Il sistema funziona fino a quando quella che è divenuta la parte produttiva del mondo si accontenta di passare dalla povertà assoluta alla povertà relativa. Ma se chiede di più bisogna rifare tutti i conti e non è detto che sia facile. Se poi la fabbricazione di merci “globalizzata” diventa vitale per i Paesi che investono, allora il gioco si fa duro. Taiwan produce il 92% dei microchip che sono vitali per il funzionamento di quasi tutto nel mondo dominato dalla telematica. E se Pechino minaccia di occupare Taiwan, si può accettare di rischiare di essere ricattati da un gigante demografico e territoriale dichiaratamente ostile alle pratiche democratiche? Certamente no, e ai buoni rapporti commerciali subentrano i bombardieri, le portaerei e l’incubo delle armi nucleari.
La diversificazione come “piano B”
In piena pandemia il prezzo del gas è salito alle stelle. Il gas non serve solo a produrre energia. Serve anche a produrre ammoniaca, da cui deriva il nitrato di ammonio che è il fertilizzante azotato più in uso nell’agricoltura. Un certo numero di aziende agricole è sull’orlo della chiusura e, comunque, se il problema non viene risolto alla svelta, anche la sicurezza alimentare diventa fonte di preoccupazioni. Potremmo fare altri esempi, ma vale solo la pena ricordare che non è mai saggio praticare operazioni, sia pure molto convenienti, senza avere un piano B in caso di imprevisti. Il piano B ci sarebbe e ha un nome preciso: diversificazione. Perché l’Occidente non ha diversificato le reti di approvvigionamento in passato? Le autovetture destinate alle competizioni più dure dispongono di doppi circuiti elettrici in maniera che se un guasto mette fuori uso un circuito entra in funzione il secondo.
Il rischio come scotto della globalizzazione
Allora perché l’Occidente non ha diversificato? La risposta sta nella matematica finanziaria. Se io compro da un produttore enormi quantità di una merce, posso pretendere uno sconto perché so che il venditore comunque ne avrà un profitto ragguardevole. Ma se io suddivido la quantità di merce che mi occorre per dieci e acquisto da dieci venditori diversi, è evidente che i miei costi saranno nettamente superiori.
Quindi si rischia. Ma se nei secoli passati il rischio riguardava una platea limitata di investitori, oggi non è più così e intere nazioni possono pagare pesantemente un errore di valutazione sul lungo periodo. Se la massimizzazione dell’utile e l’amore per il rischio sono le gambe su cui viaggia il sistema capitalistico, bisogna pagarne lo scotto.
Sulla globalizzazione leggi anche: https://www.fyinpaper.com/riflessione-sulla-globalizzazione-statements-on-globalization/