Anni fa, a Milano, mi toccò l’ingrata incombenza di fare il membro interno agli esami di maturità della scuola dove insegnavo, esperienza faticosa, ve l’assicuro, oltreché mal retribuita, ma alla quale debbo un indimenticabile divertente ed istruttivo neologismo, che mi ripagò della fatica e del caldo sofferto in quelle anguste aule rese ancor più soffocanti dagli apprensivi sudori studenteschi.
Quale commissaria esterna di lettere si presentò una prosperosa professoressa siciliana di mezza età, tuttavia ancor piacente, intrigante con quel suo incedere flessuoso di donna del sud, e portatrice di un seno davvero procace e, oso dire, autorevole nella sua procacità, un gran bel seno insomma, che si imponeva alla vista, la reclamava, metteva in soggezione gli esaminandi e li turbava pure giacché, data la calura estiva, la signora non poteva certo coprirsi più di tanto, lasciava esposti ampi spazi di nuda, tondeggiante carne sulla quale si pascevano le bramose occhiate dei giovani, e non solo d’essi, confesso che qualche occhiatina di sguincio anch’io la diedi, era difficile ignorare quelle calamitanti protuberanze, sottrarsi al piacere di tastarle almeno con gli occhi irresistibilmente attratti da tutto quel ben di dio sul quale svettavano due piccoli puntuti rilievi sotto i quali si intuivano duri, impertinenti capezzoli.
Fatta questa dovuta premessa, vengo presto al fatto all’origine del neologismo coniato d’impeto da uno studente.
Appena preso posto sulla seggiola petto a lei, e da lei distanziato dell’esigua larghezza d’un banco, uno dei candidati, al quale fu chiesto, come ad altri peraltro, se desiderasse iniziare il colloquio con un argomento di sua scelta, rispose di sì, che avrebbe parlato di Dante, e con il tono di voce chiaro, deciso, col tono e il respiro impostato ad affrontare un lungo discorrere, cominciò proprio dalla nascita del divino poeta:
“Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265…”.
Dopodiché, di botto s’interruppe, abbassò lo sguardo e tacque.
Rimanemmo tutti sorpresi, docenti e discenti, sconcertati dall’inspiegabile interruzione.
La professoressa lo invitò cortesemente a proseguire, ed anche gli altri commissari presenti, io stesso, tutti lo sollecitammo ad andare avanti, a parlarci del poeta, della sua vita, della sua opera, almeno della Divina Commedia ci accennasse, non poteva di sicuro limitarsi a farci sapere che Dante era nato a Firenze nel 1265 e basta, suvvia, qualcos’altro doveva pur aggiungere se voleva guadagnarsi la maturità.
Ma, non ci fu verso di cavargli una parola di bocca, muto rimase, sordo ad ogni incoraggiamento, ermeticamente chiuso in sé, estraneo, impenetrabile ad ogni sollecitazione, come se si fosse trasferito su un altro mondo, rimase, col capo reclinato.
Non sapevamo più che dire, che fare per scuoterlo dal suo incomprensibile e imbarazzante silenzio, per riportarlo tra di noi, quand’ecco che il giovane sollevò lentamente lo sguardo giusto appunto sino all’altezza delle possenti sicule tette che gli si paravano innanzi, e, scuotendo leggermente il capo, pronunciò a fatica, con rossor di gote, queste precise parole, che non dimenticherò mai:
“Scusate, ma non riesco a raccapezzolarmi”.
Solo per questa frasetta così pregnante, con la quale evidenziava tutto il suo turbamento e ne rendeva note le ragioni, solo per questa frasetta scaturita con impeto freudiano dal più profondo dell’animo suo, avrebbe meritato la maturità, ma sinceramente non ricordo se fummo così maturi da dargliela, talvolta i commissari preposti alle maturità son men maturi dei maturandi.
Ci fu, questo sì lo ricordo, una gran risata generale, alla quale la signora professoressa prese parte con un risolino a fior di labbra, misurato, ma non di maniera, ci giurerei, un risolino sbocciato dall’intimo, come a significare che lei comprendeva lo stato di smarrimento in cui era caduto l’esaminando, lo comprendeva e lo scusava, essendo, per femminea atavica sapienza, ben consapevole degli effetti che le sue generose rotondità provocavano sui giovani maschi, e sui meno giovani, pure.
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