Cammino tra gli scaffali del supermercato portando sapientemente il carrello in giro secondo una logica che dovrebbe permettermi di restare in questo luogo il minor tempo possibile. Lo raccomanda anche di tanto in tanto la voce dell’altoparlante, che prega i signori clienti di fare la spesa in modo da non permanere all’interno del negozio più del tempo necessario per evitare assembramenti in rispetto del DPCM-mese-anno.
Giunta in direzione delle casse, mi fermo al reparto frigo, dove ci sono gli yogurt. L’abitudine mi induce a cercare in fondo quelli con una scadenza più tarda. Stamattina però il commesso deve avere avuto fretta, una telefonata prima di recarsi al lavoro deve averlo messo di malumore, chissà, insomma non ha effettuato la solita operazione, che è quella di sistemare nella fila davanti gli yogurt con una scadenza più vicina.
Così, dopo aver frugato tra i vasetti posti nelle file retrostanti, realizzo che quello che scade dopo si trova proprio davanti, in bella vista e a portata di mano una volta aperto lo sportello. Mi blocco, scade fra due settimane, ben oltre la scadenza degli altri, ma la mia mano non riesce a prenderlo e a metterlo nel carrello. Chissà quante mani lo hanno toccato, per leggerne meglio la data o per spostarlo e prenderne un altro dietro, ma soprattutto, chinandosi a cercare con lo sguardo tra i diversi gusti, chissà quanti “droplet” lo hanno intercettato.
Decido perentoriamente che se non prenderò il mio yogurt preferito non ne prenderò altri e vado avanti, in fretta verso le casse, dove una commessa trincerata dietro il plexiglass, con i guanti monouso che toccano tutto ciò che le passano i clienti, toccherà anche i prodotti che ho nel carrello e che spero ancora di aver toccato solo io e un commesso che stamattina aveva disattivato la suoneria del suo telefono.