Ludwig van Beethoven è nato a Bonn nel 1770 e morto a Vienna nel 1827. Del grande rivoluzionario della musica di tutti i tempi ricorrono i 250 anni dalla nascita.
Fyinpaper lo commemora pubblicando, a capitoli (in totale dieci, ed ecco il quarto), una biografia scritta da Giovanni Caruselli, nostro redattore, autore di saggi, collaboratore di Einaudi, Rizzoli, Vallardi, Diakronia, e altri editori, per testi di storia e filosofia (materie che ha insegnato).
Quasi tutti i biografi di Beethoven concordano nel collocare attorno al 1801-1802 la conclusione del primo dei tre periodi in cui si è soliti suddividere la parabola artistica del maestro. Tale periodo, che comprende gli anni di Bonn e il primo decennio a Vienna, avrebbe avuto come esito la formazione di uno stile personale sia attraverso l’imitazione, sia attraverso la sperimentazione di proprie modalità espressive. Malgrado la crisi psicologica ed esistenziale che culmina con il Testamento di Heiligenstadt, Beethoven scrisse moltissimo in questi anni. Oltre alle opere già citate vanno ricordate la Seconda Sinfonia (op.36), ultimata ad Heiligenstadt, le tre Sonate per pianoforte (op.31), le tre Sonate per violino (op.305), tutte del 1802. La maggior parte delle composizioni di questo periodo sono dedicate al pianoforte e ciò è dovuto sia alla particolare predilezione del maestro per questo strumento, alla cui definitiva affermazione contribuirà in maniera determinante, sia alle richieste dell’ambiente musicale viennese, potentemente attratto dal fascino di esso. Fra le sonate per pianoforte più celebri di questo periodo vanno menzionate naturalmente la Sonata (op.13), Patetica, del 1799, dedicata al principe Lichnowsky, fedele amico e protettore, e la Sonata (op.27), Chiaro di luna, del 1801, dedicata a Giulietta Guicciardi.
Dai drammatici giorni di Heiligenstadt Beethoven uscì con la ferrea convinzione che avrebbe dovuto «afferrare per la gola» il proprio destino, accettando con coraggio e rassegnazione il suo male. Seguirono per il musicista fino al 1813 gli anni definiti in genere «eroici», che videro la nascita di una impressionante sequenza di capolavori, fra cui la Quarta, la Quinta, la Sesta, la Settima, e l‘Ottava Sinfonia, i Concerti per pianoforte, il Fidelio, le Sonate Aurora e Appassionata. Il musicista era tornato a Vienna alla fine del 1802 con gli appunti già stesi per una nuova sinfonia, ma ai primi del 1803 egli avrebbe cambiato programma a causa dell’incarico di comporre un’opera, conferitogli dal nuovo Theater an der Wien di Emanuel Schikaneder. In quel periodo la musica operistica italiana e francese entusiasmava il pubblico viennese ed è probabile che Beethoven, già celebre ed affermato nel campo strumentale, volesse cominciare a farsi conoscere anche nell’ambito del teatro musicale. Quindi si sistemò nello stesso teatro insieme al fratello Carl e incominciò a darsi da fare. Probabilmente a causa di un ritardo nella consegna del libretto del Fuoco di Vesta, trovò il tempo per scrivere l’oratorio Cristo sul Monte degli Ulivi (op.35), che fu eseguito il 5 aprile insieme al Terzo Concerto per pianoforte e orchestra, alla Prima e alla Seconda sinfonia. In un altro concerto dato il 24 maggio all’Augarten, egli eseguì, insieme al violinista George Bridgetower, la Sonata a Kreutzer (op.47). Essa fu scritta in brevissimo tempo e dedicata al famoso virtuoso francese Rodolphe Kreutzer, giunto a Vienna insieme al generale Bernadotte, ambasciatore di Parigi presso la capitale austriaca. Invece per quanto riguarda l’opera, le cose andarono per le lunghe e alla fine del 1803 Beethoven, dopo averne messo in musica alcune scene, non trovando il libretto di suo gradimento, abbandonerà l’impresa. Trovò un libretto che più si attagliava alle sue esigenze, Leonora o l’amore coniugale, di J. N. Bouilly, ma il cambiamento nella direzione del teatro provocò la momentanea sospensione del contratto.
Durante l’estate di quell’anno, passata a Baden e a Oberdobling, aveva molto lavorato alla sua Terza Sinfonia in condizioni di spirito non particolarmente favorevoli. Il maestro era scontento della sua permanenza a Vienna e l’allievo Ries poteva confidare all’editore Simrock il progetto di Beethoven di trasferirsi a Parigi nel giro di due anni. Per il momento, però, egli era intento alla stesura definitiva e alla revisione di un’opera di particolari proporzioni – durava più di cinquanta minuti – la cui ispirazione aveva un’origine marcatamente ideologico-politica. Secondo il primo biografo di Beethoven, Anton Schindler, l’idea di dedicare una sinfonia a Napoleone Bonaparte, campione della libertà e dei principi della Grande Rivoluzione, era stata suggerita al maestro già nel 1798 dal generale Bernadotte, e questa notizia è sostanzialmente confermata dalle parole di Ferdinand Ries a riguardo. «Per questa sinfonia Beethoven aveva pensato al Bonaparte, ma quando questi ricopriva la carica di Primo Console. In quel periodo Beethoven aveva molta stima di lui e lo considerava alla stregua dei più grandi consoli romani. Tanto io quanto altri amici avevamo visto sul tavolo la partitura della sinfonia con il nome “Bonaparte” scritto in alto nella copertina e Ludwig van Beethoven in basso e nient’altro. Se lo spazio libero fosse destinato ad essere riempito e con quali parole, è cosa che mi è ignota. Io fui il primo a portargli la notizia che Bonaparte si era proclamato imperatore. Egli si adirò ed esclamò con violenza. “Anch’egli, dunque, è un uomo come tutti gli altri? Ora ignorerà ogni diritto umano e si farà guidare solo dalla propria ambizione. Porrà la sua persona sopra tutti gli altri e diventerà un tiranno!” Beethoven andò al tavolo, prese la prima pagina e la strappò. La prima pagina fu riscritta e solo allora alla sinfonia fu dato il titolo di Eroica». In realtà l’opera ricevette l’attuale titolo, Sinfonia Eroica composta per festeggiare il Souvenire di un Grand’Uomo, solo nel 1806, cioè quando fu pubblicata con la dedica al principe Lobkowitz.
L’atmosfera eroica che caratterizza la Terza sinfonia e che, si è visto, traeva ampia ispirazione dalle vicende personali dello stesso maestro, caratterizza anche altre composizioni di quel periodo come la Sonata Waldstein (op.53), scritta negli ultimi mesi del 1803 e la Sonata Appassionata (op.57). Alla fine del 1804 Beethoven tornò a lavorare per il Theater an der Wien, essendosi appianati i contrasti nati con la nuova gestione, e a Vienna tornò ad abitare ancora una volta. L’estate l’aveva trascorsa a Baden dopo una furibonda lite con Stephan von Breuning, con il quale condivideva l’appartamento. Il Breuning attribuiva il peggioramento del carattere di Beethoven alle drammatiche conseguenze dell’aggravarsi della sua sordità. Nei primi mesi del 1805 lavorò all’opera richiestagli, che si intitolava Leonora, e alla fine dell’estate di quell’anno essa doveva essere già ultimata. Gli eventi politico-militari, però, si evolvevano drammaticamente in quei giorni. Sotto l’incalzare dell’esercito francese la Corte Imperiale doveva abbandonare la capitale, che veniva bombardata e stretta d’assedio. Il 13 novembre i francesi entravano a Vienna e il 20 sarebbe stata data la prima del Fidelio (la direzione del teatro aveva deciso nel frattempo di cambiare il titolo dell’opera). Il pubblico era quindi costituito in prevalenza da ufficiali francesi, che non riuscivano a capire molto dell’opera, e da pochi amici del musicista. La rappresentazione fu un insuccesso di pubblico e di critica e da molte parti si richiese al musicista un rifacimento dell’opera soprattutto nel senso di uno snellimento dell’azione. Beethoven, aiutato da Breuning, rimodellò il libretto, rendendolo più breve con l’eliminazione di alcuni brani e la riduzione di altri. La nuova edizione del Fidelio fu messa in scena il 29 marzo del 1806, con un discreto successo di pubblico, ma l’opera sarebbe stata ancora rivista nel 1814, senza che il musicista riuscisse alla fine ad esserne soddisfatto.
Ecco la trama dell’opera, che si ispira ad un episodio realmente avvenuto nel periodo della rivoluzione. A Siviglia il nobile Florestano, arrestato ingiustamente, è tenuto prigioniero in una cella della fortezza dal governatore Pizarro. La moglie Leonora, travestita da uomo e sotto il falso nome di Fidelio, si fa assumere come aiutante nella prigione con la speranza di poter fare fuggire il marito. Rocco, il carceriere, prende in simpatia Fidelio e vorrebbe dargli in sposa la figlia Marcellina. Nel frattempo Pizarro è informato del fatto che ci sarà un’ispezione delle carceri voluta dal ministro della giustizia e che Don Fernando, amico di Florestano, verrà ad effettuarla. Temendo che si scopra la detenzione illegale di Florestano, Pizarro chiede a Rocco di sopprimere il prigioniero, ma il carceriere si rifiuta dicendogli di non essere un assassino. Il governatore allora gli ordina di scavare nei sotterranei della prigione una fossa che servirà ad occultare il cadavere di Florestano, quando egli stesso lo avrà ucciso. Leonora, che ha udito tutto, chiede ed ottiene da Rocco di potere scendere nella prigione per aiutarlo ed ha così la possibilità di incontrare Florestano, mentre questi sta lamentando la sua sorte ingrata, e di farsi riconoscere da lui. I due progettano la fuga, ma nel frattempo sopraggiunge Pizarro, intenzionato a sopprimere il suo nemico. Florestano lo accusa dei suoi misfatti e Pizarro tenta di colpirlo, ma ne è impedito da Leonora che si intromette fra i due puntando una pistola al cuore del governatore e rivelando a quest’ultimo la sua vera identità. Preceduto da alcuni squilli di tromba sopraggiunge Don Fernando che riconosce l’amico Florestano e lo fa liberare insieme agli altri prigionieri. Mentre Pizarro fugge è Leonora stessa a liberare dalle catene il marito che ha salvato con la forza del suo amore coniugale.
I rapporti del maestro con i suoi illustri protettori non erano stati mai idilliaci e questo per un duplice ordine di motivi. Da una parte il carattere di Beethoven, schivo di ogni formalismo e orgoglioso della propria superiorità intellettuale, era insofferente ad ogni sia pur minima limitazione alla sua libertà. Per tale motivo dopo aver vissuto per qualche tempo nel palazzo del principe Lichnowsky, che lo ricolmava di attenzioni e di gentilezze, preferì cercarsi un alloggio autonomo. Da un’altra parte vi era un fattore più profondo che ineriva sia al suo modo di pensare il ruolo dell’artista, sia alla ideologia libertaria e sostanzialmente antiaristocratica che gli derivava dalla sua cultura illuministica. Volendo in taluni momenti celebrare l’emancipazione sociale e civile dell’uomo, ed essendo, al tempo stesso, costretto per motivi pratici a dedicare le proprie opere a personaggi che oggettivamente si allineavano su posizioni politiche che egli non poteva condividere, Beethoven dovette sentire pesantemente questa lacerante contraddizione. Talvolta non la tollerò, rischiando un destino simile a quello che qualche anno prima aveva accompagnato gli ultimi anni di vita di Wolfgang Amadeus Mozart.
In quegli anni un nuovo nobile protettore si aggiungeva alla schiera dei già sperimentati mecenati ai quali sia Beethoven, sia altri noti musicisti, dovevano aiuti di vario genere. Si trattava del conte Razoumovsky, plenipotenziario dello zar nella capitale austriaca e già amico di Mozart. I rapporti con il munifico principe Lichnowsky erano invece destinati a deteriorarsi, forse per la sua persistente intenzione di fare svolgere a Beethoven un ruolo troppo subordinato, a cui Ludwig, soprattutto dopo aver raggiunto il successo, non era disposto. Alla fine di ottobre del 1806, durante un ricevimento nella casa di campagna del principe, quest’ultimo chiese a Beethoven di suonare per gli ospiti, un gruppo di ufficiali francesi. Beethoven non volle farlo e, a seguito di un contrasto molto acceso, si barricò in una camera. Ritenendo di essere stato trattato più o meno alla stregua di un domestico tornò a Vienna, e, non appena ebbe rimesso piede a casa, in preda all’ira rovesciò per terra, spezzandolo, il busto del suo protettore. I rapporti fra i due, migliorati in seguito, non sarebbero mai tornati quelli di prima. Evidentemente il musicista non percepì più lo stipendio di seicento fiorini che il principe abitualmente gli versava e ciò incise sulle sue condizioni economiche. Queste ultime fino a quel momento non erano mai state critiche, poiché Beethoven era sempre stato abile nel contrattare vantaggiosamente con gli editori, senza compromettere per questo la sua immagine di artista serio ed onesto, e vendeva regolarmente le proprie opere a facoltosi nobili ai quali era costretto a dedicarle. Dopo la lite con il Lichnowsky pensò di procurarsi uno stipendio sicuro e a tale scopo inviò una petizione all’Imperial Regio Teatro di Corte del cui consiglio di amministrazione facevano parte fidati amici come Lobkowitz ed Esterházy.
Eccone il testo: «Certamente il sottoscritto può vantarsi di avere ottenuto durante il suo soggiorno a Vienna un certo successo sia da parte dell’alta nobiltà, sia da parte del resto del pubblico, ed anche di aver ricevuto notevoli consensi per le sue opere sia in patria che all’estero. Malgrado ciò è stato costretto a lottare contro difficoltà di ogni sorta, e fino ad ora non è mai stato tanto fortunato da sistemarsi in una posizione che gli permetta di vivere esclusivamente per l’arte, di sviluppare le proprie capacità ad un livello sempre più elevato fino alla perfezione, meta di ogni vero artista, e di assicurarsi per un avvenire indipendente quei guadagni che ha percepito finora occasionalmente. Poiché al sottoscritto è importato in linea di massima non tanto guadagnarsi il pane, ma, nell’interesse dell’arte, nobilitare il gusto e proiettare il suo genio verso altezze sempre più grandi e verso la perfezione, per tale motivo egli sacrificò alle Muse i suoi profitti e la sua convenienza personale. Tuttavia in tal modo le sue opere gli hanno procurato anche in paesi lontani una fama che gli garantisce nei centri più rispettabili una buona accoglienza e un futuro adeguato alle sue capacità e al suo talento. Eppure il sottoscritto non può nascondere che i numerosi anni trascorsi in questa città, la stima e il successo avuti presso potenti e umili, il desiderio di potere realizzare le proprie aspirazioni e, il suo patriottismo di tedesco, gli hanno reso questo luogo più prezioso e desiderabile di ogni altro». Alla velata minaccia di Beethoven di trasferirsi altrove i responsabili del Teatro risposero negativamente, ma del tono di tale risposta non abbiamo notizie certe.
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